«LI FRASCARILLE»? GOLOSA RISPOSTA DELLA NOSTRA CUCINA RUSTICA

«LI FRASCARILLE»? GOLOSA RISPOSTA DELLA NOSTRA CUCINA RUSTICA


Non si tratta di un mangiar povero vero e proprio, come l’acquacotta toscana – che secondo quel popolo beato, avrebbe sfamato Dante, Petrarca e Boccaccio -, tuttavia la nascita antica di li frascarille può esserle coeva (…Aligi e Mila di Codro, meno antichi, permettendo). Questo nostro saporito e rustico mangiare, ha preso il nome dalla frasca che serviva per aspergere il velo di farina sulla tavola di preparazione, mentre i nostri incerti lessicologi degli etnosaperi non ne sanno di più («frascariejje e panette: minestra di pasta grattugiata…polentina non dura ma morbida…e altre amenità similari»), a parte le solite chiacchiere da wiky per competenti improvvisati. Attenti, invece, ché la frasca ci apparenta alla più famosa trattoria di Milano – quella che, proprio per la frasca che capeggiava sul suo ingresso nella via omonima, fu scelta come briosa trattoria degli artisti e prese il nome, anno 1926, di Bagutta: per merito di Riccardo Bacchelli, e divenne famosa poi per Orio Vergani con altri celebri nomi della cultura d’allora, primo fra tutti quello del vastese Raffaele Mattioli

Cosparsa completamente la superficie della spianatora con un velo di farina, essa diventa protagonista in modo umile ma gustoso, come usava un tempo: con la piccola scopa per alimenti (la granarèlle da cucina), aspergere letteralmente quella sottile superficie con acqua intiepidita e già salata, attinta nel tegamino preparato apposta; il gesto avrà un moto orizzontale e deciso, sopra la spianatoia, in modo che vi rotoleranno, piccole gocce coagulate di farina. Ad ogni passata di granarèlle, raccogliere e setacciare le gocce solidificate, di modo che esaurita la farina prescritta, ci si troverà di fronte ad un’ampia distesa di…frascarille, messi ad asciugare sopra vassoi da dolci bene infarinati.

Intanto si è preparato il soffritto di sole cipolle, fettine di ventresca e olio d’oliva; aggiustando di sale nella casseruola a parte. (Noterella gastronomica: un tempo, lo strutto era usato al posto dell’olio).

Nella pentola metallica grande, invece, la abbondante acqua, già salata anch’essa, e giunta a bollore vivo, accoglierà li frascarìlle versati con cura perché non si impastino; la cottura durerà il tempo di qualche minuto, controllata con il mestolo di legno; quando essi torneranno a galla e immediatamente sgocciolati, saranno pronti per essere annegati nell’intingolo bollente e brodoso, oltre che saporito e profumatissimo.
La spolveratura eseguita con il macinato di pepe nero, completa il frugale capolavoro.

[A proposito di frugalità (non di sobrietà ch’è tutt’altra cosa!) e di cucina, qui intendiamo riproporre diverse altre ricette – sempre identificate con l’aggettivo umile (dunque, non ancora di tavola povera), perché molti altri sono i piatti che la nostra tradizione contadina ricorda: dalle fregnacce all’acquapazza del pecoraio, alla pastuccia con piccante, alle stracciatèlle con verdura, alle còde di tòpo, ai pappìcci, alle volarèlle, alle mitiche sagne appezzàte…ai tacconi (che non sono affatto la stessa cosa), non sempre, peraltro, appartenenti al nostro solo comprensorio…come non è davvero da trascurare nemmeno il “recupero” dei cosiddetti “avanzi” con i quali si approntavano – debitamente rielaborati in cucina – autentiche leccornìe: famose quelle delle nostre nonne, in lotta con la tessera annonaria e non ancora codificate, da trattare a parte. In ogni caso si tratta di ricette che affondano le radici rustiche nei tempi più remoti].

Ingredienti (per 4 persone): 600 gr. di farina (metà di grano tenero e metà di grano duro) – una grossa cipolla affettata finemente – 150 gr. di guanciale stagionato – sale – olio d’oliva – pepe nero. Tempi: 1ora e 15 minuti di preparazione + 15 minuti di cottura e servizio.
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(Pino Jubatti)